Freaks (1932): la poetica dell’informe e gli scatti di strada di Diane Arbus
05/06/2024
1932, film Freaks: fenomeni da baraccone
Fotogrammi del film: donne e uomini affetti da nanismo, gemelli siamesi, donne barbute che vivono nel circo, si prestano alla macchina da presa senza nascondere il loro disagio fisico interpretando sé stessi e senza paura di concedersi allo sguardo altrui. La storia racconta che “in un circo la bella trapezista Cleopatra e il suo amante Hercules complottano di uccidere il nano Hans per spartirsi la sua eredità. I Freaks, creature deformi usate come fenomeni da baraccone, intuiscono le intenzioni dei due e vogliono vendicarsi.”
Freaks (1932) del regista Tod Browning, non esibisce la condizione sociale di deformità del corpo degli attori “ per sollecitare gli istinti più basi delle platee” atta a creare una compassione nel pubblico e spettacolarizzazione del fenomeno da baraccone da dare in pasto al voyeur. Al contrario, vuole che a parlare non siano le condizioni di vita quanto più le dinamiche di vita che accomunano tutti noi, indipendentemente da come siamo, ovvero: il lavoro, gli amori, le sconfitte e i successi.
Il “diverso” è punto di partenza e non di arrivo, l’intento infatti è di “ sorprendere l’apparizione di una realtà nascosta”, in modo tale da abituarsi e far perdere quel “disgusto sensoriale e morale” dovuto alle caratteristiche fisionomiche dei freaks.
Diane Arbus: un nuovo codice estetico
Il distinguo dalle masse, la capacità di risalire controcorrente, animano il modus operandi della fotografa Diane Arbus. Non vuole più essere ingabbiata da un codice estetico che non sente più suo, perché orientato alla sola ricerca del canone di bellezza quale il bello tipico del mondo della moda.
La volontà di Diane Arbus è quella di andare dove gli altri non sono mai stati, cercando di addentrarsi in un territorio che mai nessuno avrebbe avuto e, soprattutto, voluto dare voce.
Prima di questo, però, acquisisce ed impara le tecniche del mezzo fotografico, realizzando i suoi primi scatti per le riviste di moda dal nome altisonante come Vogue e Harper Bazar. La Arbus ben presto capisce che nel settore della fotografia di moda non c’è modo di sperimentare ed esprimersi esteticamente, perché troppo legata a rigidi codici estetici.
Nel 1957 si separa dal marito Allan Arbus e lascia il suo studio fotografico. Sono gli stessi anni in cui conosce Emile De Antonio, produttore cinematografico, che conduce Diane Arbus alla visione del film Freaks di Tod Browning del 1932, avendo modo vedere personaggi quali donne e uomini affetti da nanismo, gemelli siamesi, donne barbute subendo una vera e propria fascinazione.
Tramite il film, la fotografa capisce che i fenomeni da baraccone non sono solo presenti nel circo ma anche nella vita quotidiana, fuori dalle mura del set ovvero New York e la sua periferia ai quali la Arbus, come nella pellicola, vuole poter dare voce. E lo fa ritraendo persone nella loro quotidianità che incarnano un ideale di bellezza né di bello e né brutto, sono invece persone “diverse” per il solo fatto di possedere un difetto.
La fotografia di strada è lontana dalle convenzioni, dalle consuetudini e dai codici estetici rigidi. Le persone fotografate non hanno paura di apparire per come sono fisionomicamente, si raccontano per come sono ed in modo del tutto spontaneo senza regole dettate da parte della Arbus in sede di scatto.
Il perturbante arbusiano nella fotografia di strada
Come in un primo momento il girato browninghiano, anche gli scatti fotografici della Arbus provocano un senso di turbamento, a causa dei soggetti scelti: persone deformi, adulti affetti da nanismo, gigantismo, donne barbute, si inseriscono “ fuori da ogni tipizzazione”.
Gli scatti arbusiani producono un senso di turbamento, di angoscia, di spavento a livello di inconscio. Dall’altra parte queste emozioni contrastanti possono essere placate attraverso l’abituazione del vedere. Ripetendo più e più volte l’osservazione sopraggiunge una assuefazione di visione, una sorta di dipendenza benevola, che ha la capacità di saturare la nostra percezione negativa in qualcosa che alla nostra coscienza non fa più né caldo né freddo.
“Ci troviamo esposti a un effetto perturbante quando il confine fra fantasia e realtà si fa labile”, in particolare “ qualcosa che avrebbe dovuto rimanere nascosto e invece è riaffiorato”.
La Arbus gioca su questo significato freudiano e ritiene che le coscienze di tutti rimarranno sempre nella condizione di provare un turbamento attraverso i suoi scatti.
Un esempio è il ritratto di Lauro Morales, uomo messicano, nella sua stanza d’hotel a N.Y.C., 1970: un uomo a mezzo busto, semi nudo, con capello, con il braccio sinistro sul comodino. Il fatto che la Arbus abbia deciso di ritrarlo senza vesti accentua e fa cadere il nostro sguardo sulla sua condizione: il rachitismo delle braccia, delle dita e del corpo.
L’intento degli scatti di Diane Arbus è di scuotere le coscienze in maniera tale da creare “un occasione per dimostrare che si possono guardare in faccia senza ripugnanza gli orrori della vita, portando ad una graduale eliminazione”. Dimostrando che l’inconsueto ed il disgusto hanno la capacità di diventare “familiarità”.
Tattoed man at a carnival in Maryland, 1970, Untitled (1), 1970-71, e Miss Cora Pratt, The Counterfeit Lady del 1961 sono immagini fotografiche nella quali “diversità e mostruosità “ ci vengono mostrate senza filtro e senza censure.
L’obbiettivo di Diane Arbus sembra essere pertanto il superare le categorie estetiche e guardare il mondo nella sua totalità e non esclusività.
Emanuele Della Costa
Laureato in “Arti, Spettacolo ed Eventi Culturali” e in “Arte, Valorizzazione e Mercato” all’Università IULM di Milano, Emanuele ha diverse esperienze in ambito museale ed artistico. Si occupa per QUAINT Art Magazine delle sezioni inerenti la Fotografia, le Culture Visuali e l’Arte Contemporanea.
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