Dalla borsa in aerogel di Coperni alla “moon girl” di Courrèges: le volte in cui il fashion ha rubato allo spazio
14/03/2024
Nella haute couture l’innovazione e la tendenza alla sperimentazione sfilano da sempre protagoniste, sortendo nelle Maisons l’ambizione di indagare i propri limiti, tramite collezioni visionarie dove l’ispirazione nasce ai confini tra discipline e la bellezza muta costantemente aspetto.
Di fronte a queste sfide straordinarie, a volte il nostro pianeta non basta più e spetta dunque all’immaginario degli artisti aprire un varco per la luna e nuovi mondi dai quali attingere.
Durante la fashion week parigina per la presentazione della moda autunno-inverno 2024, a rubare la scena è Coperni, anticipando sui social il debutto dell’ultimo, stupefacente progetto: la Air Swipe Bag, una borsa composta da un 99% d’aria e un solo 1% di vetro.
L’esplorazione dello spazio sposa il surrealismo in un accessorio unico, dal design vaporoso ed evanescente, e il merito è del professor Ioannis Michaloudis, la cui musa diventa la tecnologia del futuro: visual artist di origini greche, considerato uno dei pionieri nella ricerca delle applicazioni del binomio arte-scienza, è il primo ad aver realizzato con successo l’oggetto in Aerogel più grande fino ad ora.
Apparentemente delicato ma affatto fragile, questo nano materiale, inventato nel 1931, è impiegato dalla NASA nella costruzione di satelliti per catturare la polvere di stelle, in quanto capace di sostenere elevatissime temperature e una pressione pari a 4000 volte il suo peso; definito anche “frozen smoke” per consistenza e aspetto, è inoltre il solido più leggero della Terra, donando infatti alla borsa, prodotta ad Atene, un peso complessivo di soli 33 grammi. Nonostante indossandola se ne percepisca appena la presenza, la sua nuvolosa, poetica meraviglia rende impossibile dimenticarsi di averla con sé.
Ogni anno Coperni cerca di andare oltre le colonne d’Ercole della moda, elaborando l’iconico modello della Swipe Bag in originali declinazioni: è stata infatti precedentemente proposta interamente in vetro e in puro oro, nelle vesti di meteorite o in quelle di autentico lettore cd funzionante.
Sébastien Meyer e Arnaud Vaillant, co-fondatori della Maison, sono ben noti per il loro talento nel collaudare materiali inusuali, sondando in questo modo frontiere fashion ancora inesplorate e facendo molto parlare di sé grazie alle conseguenti spettacolari performance; esemplare è l’indimenticabile vestito spray, spruzzato e modellato sulla top model Bella Hadid a chiusura dello show primavera-estate 2023.
Citando una intervista rilasciata a Vogue Italia in seguito a questo emozionante evento: i brillanti co-fondatori, in quanto stilisti, sentono loro il dovere di “mostrare un futuro possibile”. Ed è proprio il futuro lo scenario nel quale Coperni ambienta sapientemente le proprie sfilate, come successo in occasione della fashion week autunno-inverno 2023, durante la quale i cani robotici di Boston Dynamics hanno interagito con abiti, modelle e spettatori, anch’essi così inevitabilmente immersi nell’avveniristica atmosfera allestita dal brand.
Tutte le volte che il mondo del fashion ha rubato allo spazio
Tuttavia, Meyer e Vaillant non sono certamente gli unici a puntare alle stelle e a strizzare l’occhio al domani. Questa tendenza nasce in realtà sull’onda del Manifesto Futurista di Filippo Marinetti, del 1909. Sarà Giacomo Balla, pittore appassionato di abbigliamento, ad introdurre per primo la moda futurista maschile per mezzo del Manifesto del Vestito Antineutrale, seguito nel 1920 dalla pubblicazione, da parte di Volt, del Manifesto della Moda Femminile Futurista.
L’abito si ribella al monotono rigore borghese, acquisendo vitalità e trasformandosi nel perfetto veicolo di questa fresca spinta culturale: assume colori brillanti e forme geometriche così da esprimere funzionalità, dinamismo, riconoscendo infine nel movimento la propria identità; la tuta di Thayaht ne diviene il simbolo per eccellenza.
I cambiamenti si susseguono rapidi in questo secolo di grande sviluppo, finché un significativo momento storico ci induce a rivolgere lo sguardo non più semplicemente in avanti, bensì al cielo: lo sbarco sulla luna del 21 luglio 1969 spalanca un orizzonte di placche metalliche, plastiche, abiti d’acciaio, rame e latta. La fascinazione di possibili realtà intergalattiche, di satelliti e tecnologie all’avanguardia viene ben presto proiettata nelle collezioni, prima fra tutte la “Space Age” di André Courrèges, della primavera-estate 1964, che inaugura l’estetica della “moon girl” e nella quale figurano l’uso del versatile pvc, lo styling geometrico e una palette lunare. La rilevante bellezza del suo lavoro gli fruttò l’invito della NASA a visitare il centro di controllo di Cape Canavel.
Pierre Cardin si unisce alla celebrazione della nuova era, disegnando la collezione “Space Age and Futurism”, la quale incorpora il vinile in creazioni brillanti, prendendo le mosse, come ammesso dallo stesso stilista, da una vita che ancora non esiste. Anch’egli non passò inosservato e venne invitato alla NASA, dove ebbe persino l’onore di indossare la tuta di Neil Armstrong.
L’omaggio al grande passo dell’umanità prosegue negli anni ottanta, con l’avvento della “gynoid couture” tra i metalli di Paco Rabanne e i look fantascientifici eppure diafani di Thierry Mugler, restituendo l’immagine di futuristiche principesse spaziali.
Quest’ultimo soggetto viene ripreso in particolare da John Galliano, nella collezione Dior autunno-inverno 2006, caratterizzata da toni retrofuturistici, solenni guerriere e personificazioni di pianeti, al termine della quale lo stilista ringrazia il pubblico, vestito da astronauta.
Christopher Kane si distingue nella sua collezione “Into The Galaxy” del 2011 grazie all’originale uso delle stampe, riproducendo sui suoi abiti fotografie del telescopio spaziale Hubble, che immortalano variopinte galassie.
Queste citazioni cosmonautiche arrivano sino al giorno d’oggi, le più significative rappresentate dalla haute couture autunno-inverno 2017 di Karl Lagerfeld per Chanel, in occasione della quale il Grand Palais di Parigi viene tramutato in una stazione spaziale, pronta a lanciare gli spettatori in orbita tra glitter, simmetrie e sfumature argentee, e infine dalla primavera-estate 2019 di Iris Van Herpen, la quale ci incanta con colorazioni intense, forme enigmatiche e tessuti dagli aggraziati movimenti ondulatori, opere d’arte che sembrano provenire da un pianeta remoto.
I gioielli di questa sfilata sono stati realizzati per mezzo della stampante 3D, strumento del quale sempre più case di moda si servono, come dimostrato da Maison Alaia, lo scorso gennaio, con il lancio della sua “Robe Spirale”. L’abito è un eccellente esperimento di alta ingegneria in quanto interamente stampato partendo dall’idea della circolarità delle cinture: quasi a voler sconfiggere la gravità, abbraccia in una morbida spirale il corpo, riuscendo etereo e lineare, ipnotico nella sua pulita eleganza.
La prima ad indossare la “Robe Spirale” è stata l’attrice statunitense Zendaya per la promozione di “Dune: parte 2”. La quale stupisce ancora, in occasione della première dello stesso, sfoggiando una femminile armatura robotica, con trasparenze in plexiglass, coerente con il carattere fantascientifico del film, nonché magnifica opera d’archivio firmata proprio Thierry Mugler; la resa finale richiama alcuni soggetti del celebre fotografo di moda Helmut Newton, provocatorio e sensuale nei suoi scatti, il quale sviluppa la sua arte pienamente influenzato dall’estetica futurista novecentesca, in un magnetico gioco di nudità, plastiche, elementi metallici e robotici.
Sembrano non esaurirsi mai le eccentriche intuizioni del secolo scorso riguardo ciò che il futuro potrebbe riservare o nascondere per sempre, accrescendo in tal modo il potere e il piacere di immaginarlo negli abiti. La loro eco ammalia tutt’ora stilisti e artisti di tutto il mondo, i quali gettano sovente un’occhiata indietro, proprio per apprendere come guardare ancora più in alto, ancora più in là.
Le aree di competenza delle arti, delle scienze non possiedono più contorni definiti, in una contaminazione reciproca e feconda ed è proprio sulla soglia di questo confine sfocato che l’alta moda di oggi avanza, sulla scia dell’eredità novecentesca, tra bellezza, genio e polvere di stelle.
Laureanda in Lingue e Letterature Straniere all’Università La Sapienza di Roma. Monica persegue la sua passione per la scrittura e la Fashion Industry occupandosi su QUAINT Art Magazine della sezione Arte & Moda.
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