Andrea Gallotti: una ricerca sul valore del tempo e delle cose attraverso la ripetizione
18/03/2024
In un mondo in cui l’arte spesso si manifesta come un enigma indecifrabile, l’opportunità di comprendere il pensiero e l’ispirazione di un artista può essere un’esperienza affascinante.
Le parole dell’artista, permeate di passione e visione, consentono un’intimità con l’opera che va oltre la semplice osservazione: guidano verso la comprensione, aprendo la mente e trasformando il quadro in un’arena di scambio, riflessioni e percezioni.
In questa intervista esclusiva – avvenuta nella cornice della mostra personale “Identità e Differenze”, curata da Barbara Magliocco nello Spazio Alveare Culturale della Fabbrica del Vapore (Milano) – Andrea Gallotti condivide la sua visione artistica, offrendo uno sguardo personale nel cuore del suo processo creativo. Dove ogni suo gesto, anche se ripetuto, narra una storia unica.
Pensi che il contesto in cui sei nato abbia influenzato il tuo lavoro artistico?
AG: “Tutti i miei lavori rappresentano il riassunto di esperienze che ho vissuto.
Il fatto di essere nato a Monza ed aver vissuto tra Monza e Milano – in cui tutto è connotato da una grande velocità – è stato bilanciato, nella mia storia, dall’aver vissuto in centro Italia, in Umbria, in cui c’è un gusto del tempo e delle cose molto più a portata d’uomo.
Lì ho capito che volevo rallentare. Che preferivo avere un approccio più lento alla vita. E il fare arte, per me, si è legato proprio a una riflessione sul valore che noi diamo al tempo e alle cose.”
In che modo hai elaborato questa riflessione?
AG: “Il tema, per me molto importante, è quello del valore della ripetizione. Il mio obbiettivo è ragionare con un unico gesto che però, di volta in volta, approccio con un’ottica diversa.
Attraverso la ripetizione di un solo gesto ho voluto estremizzare una percezione diffusa nella contemporaneità, in cui l’unica cosa che ha valore sembra essere l’entità nuova, la novità. In cui, quindi, nulla ha valore, perché è impossibile vivere di costanti ed estreme novità.
In questi quadri i dettagli che cambiano sono minimi: il colore, l’entità, la frequenza, il bilanciamento più delicato o più forte […] e queste variabili influenzano un segno che si pensa possa e debba essere sempre uguale facendo risultare tele completamente diverse tra loro.
La mia domanda è stata: se una cosa così semplice può cambiare così tanto, noi, in una nostra ripetizione, quanto valore aggiunto possiamo trovare?
Con Barbara Magliocco abbiamo ragionato su una frase di Heidegger, che per me è verissima, “Mentre nell’uguaglianza la diversità scompare. Nell’identità la diversità si rivela”. Guardando ogni cosa allo stesso modo, diventa tutto piatto e ripetitivo, ma nel momento in cui si prova a vedere l’identità delle cose, capire cosa si ha davanti, ci si accorge dell’esistenza di un ventaglio di unici.”
A volte anch'io mi sento insofferente verso la routine e mi rendo conto, a posteriori, di dare per scontate azioni quotidiane come una carezza o un sorriso. Seguendo il tuo pensiero, è in questi momenti quotidiani che dovremmo vedere la bellezza della ripetizione?
AG: “Esattamente. Credo sia importante vedere il positivo della ripetizione, il suo valore.
Piuttosto che “dare per scontato” un sorriso o una carezza da una persona cara, sarebbe bello pensare: “Cavoli, ci conosciamo da anni eppure mi fa un sorriso così spontaneo. Mi guarda e sono motivo di gioia”. Ed è la cosa più bella.
Ci deve essere qualcosa in più nella nostra vita rispetto al correre e basta, come una pallina matta.
Ma quel qualcosa in più siamo noi a darlo.
Pensa ai nostri nonni e chi li ha preceduti, persone che avevano pochissime cose, che però trattavano con una cura enorme, come fossero oggetti inestimabili.
Ciò che è interessante per me è provare a ridare valore alle cose, perché quelle stesse cose riescono a dare valore a noi, che di conseguenza siamo più portati a dare valore alle cose.
Mi rendo conto che è un pensiero intricato. Ma non possiamo più continuare a vivere in un mondo di usa e getta.”
Cosa vuol dire per te, oggi, essere un artista?
AG: “Essere un artista per me significa fermarsi e ragionare. Non importa il tema, l’importante è fermarsi e provare a ragionare con il proprio pensiero critico.
L’artista apparentemente può sembrare una persona molto egocentrica, che impone la sua idea e la mette a muro dicendo “Io la penso così”. Ma è importante capire che non si tratta di “Io la penso così e devi pensare anche tu così” ma, piuttosto, di “Io penso così, e tu?”.
La cosa più bella dell’arte, che fa innamorare i più, è forse questo dare e avere. La possibilità di creare una connessione, uno scambio, un dibattito positivo.
A me importa che le persone vadano oltre al piacere o non piacere e che arrivino a capire perché una determinata opera piace o non piace.
Io faccio arte perché le persone possano chiedersi “Per me, questa opera, cosa vuol dire?” […] apprezzo quando le persone si fermano a pensare davanti alle mie opere, in vari modi e livelli. Mi sembra quasi che le persone riacquistino una umanità, una sensibilità che altrimenti, camminando per strada in città come Milano dove tutti corrono freneticamente, non pensi possa esserci più.
Un’arte partecipata: il processo artistico non è per me solo pensare nello studio, dipingere, allestire le opere, ma anche e soprattutto relazionarsi, capire ciò che pensano le persone, comunicare.”
C’è qualche commento o osservazione sulla tua opera che ti è rimasto nel cuore?
AG: “Ci sono stati tanti commenti incredibilmente diversi, spesso associati ad esperienze passate che il quadro faceva riemergere in chi lo guardava.
Mi ricordo una signora però che, mentre mi ascoltava, disse “Mi hai fatto pensare che, da quando esiste il mare, non ci sono state due onde uguali“.
Penso sia bellissimo come la stessa idea possa risuonare dentro ogni persona in un modo unico. Ognuno completa l’input dell’artista con il proprio pensiero libero, con la sua idea e background.
Quindi non sai mai cosa potrà succedere.”
L'idea della serialità e alcune associazioni di colori mi hanno fatto pensare alla Pop Art. Sei d'accordo con questo accostamento?
AG: “Penso che la Pop Art sia una delle cose più geniali mai fatte nella storia dell’arte.
Ho utilizzato molto il linguaggio Pop in questi lavori, dal punto di vista cromatico. Trovo che nell’arte Pop ci sia un uso del colore eccezionale, bilanciato, con accostamenti che funzionano e incidono.
Ho cercato di usare una parte dell’idea Pop per vedere come l’uso di certi colori e certi gesti, potesse dare un senso diverso al mio lavoro […] infondo se una persona ha fatto da A a B e io devo andare da A a C, non vedo perché io non debba usare – interpretando a modo mio – A e B per arrivare a C. Significa studiare ciò che è stato, per metterlo a servizio di una elaborazione propria.
Come più autori hanno sottolineato, l’artista oggi è un po’ come il dj, che prende spezzoni del passato e li reinterpreta per creare nuove sonorità.
Io ho reinterpretato il suono del colore pop per comunicare il mio pensiero.”
Una ricerca sul valore del tempo e delle cose attraverso la ripetizione e la serialità. Vuoi aggiungere qualcos'altro?
AG: “Trovo che sia centrale oggi come oggi capire il valore che le cose possono avere e, di conseguenza, il valore che noi stessi possiamo avere.
Sarebbe un tema molto ampio […] questo discorso è sia verticale che orizzontale nella società, prende tutte le fasce d’età e tutte le classi sociali: ognuno ha una sua ripetizione, una sua routine.
Ma non si deve trovare il negativo in questo, anzi, bisogna sforzarsi di trovarne il valore aggiunto, in modo da riconnettersi con un’umanità che mi sembra mancare.
Il vivere bene non deve nascere dalla novità, dall’avere il nuovo modello di telefono uscito, ma dalle piccole cose che abbiamo attorno.
Quando passeggio per strada, in Umbria, ed incontro qualcuno di sconosciuto spesso dico “Buongiorno!” e da quella parola nasce una conversazione che, per quanto breve possa essere, mi fa sentire umano, mi fa sentire parte di qualcosa.
E così deve essere.”
Laureata in “Arti, Spettacolo ed Eventi Culturali” all’Università IULM di Milano, si specializza in comunicazione per la cultura. Fondatrice di QUAINT Art Magazine nel 2024, si occupa trasversalmente di tutte le sezioni della rivista.
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